Cancellata la direzione dei musei civici di Trieste



Di fronte al silenzio che ha accolto la notizia dell'abolizione del ruolo di direttore dei Musei civici di Trieste non si può non provare indignazione. Perché, se è vero che ci si sta abituando a una classe politica e amministrativa che, oltre a lasciare trasparire orgogliosamente la sua ignoranza, non pronuncia più, neppure casualmente, la parola "cultura", sul versante opposto esiste un mondo di intellettuali, scrittori, insegnanti, artisti, architetti, galleristi, critici, musicisti, attori, giornalisti, grafici, editori, librai, registi - insomma quell'élite culturale che affolla le inaugurazioni e i teatri - totalmente insensibile e indifferente a questo "delitto". 

Non si può chiamarlo in altro modo. Questo è un vero e proprio crimine istituzionale, della cui gravità forse solo gli artefici, che lo programmavano da anni, si rendono veramente conto. Del resto l'ultima dirigente dei musei triestini era stata ingaggiata nel 2017 con un incarico a tempo determinato: era la fase preparatoria della soppressione. Qualcuno forse potrebbe pensare, proprio in relazione al tasso di ignoranza di cui sopra, che all'origine ci sia la scarsa conoscenza, da parte delle Giunte (il problema non riguarda purtroppo solo Trieste) della funzione dei musei e dei problemi che comporta la loro gestione. Ma è vero il contrario: proprio la consapevolezza della complessità di un'istituzione museale e l'impossibilità di gestirla coi metodi spicci e i risultati rapidi della politica, fa sì che un dirigente alla guida dei musei sia visto soprattutto come un inutile "rompipalle" che pone un sacco di problemi e non produce nulla di valido politicamente (e invece ti assilla coi condizionatori che non funzionano, insiste per avere personale almeno decente per aumentare la sicurezza, o si permette di contrastare la brutta mostra commerciale che invece ti assicura tanti consensi...).

Insomma, abolito il direttore, aboliti gli ostacoli. Meglio addirittura abolire il posto affinché non ci sia qualche sconsiderato, in futuro, che possa indire un concorso per coprirlo. Che problema c'è? I musei possono venire gestiti direttamente dagli assessori con l'aiuto coatto di funzionari-conservatori, privati di qualifica, di soldi e di potere, ma costretti a subire, (per la metà dello stipendio di un dirigente), tutti i compiti del dirigente, la responsabilità del patrimonio, la gestione della sicurezza, la comunicazione, le grane col personale, le previsioni di spesa, le gare... Mentre il loro vero lavoro, la cura delle collezioni, la base dell'attività di un museo, non lo fa più nessuno. Non si può fare tutto. In pratica il conservatore, che in origine sarebbe uno studioso, deve fare tre lavori al posto di uno: il dirigente, il funzionario amministrativo e il conservatore. Ovviamente rinuncia al suo. E chi si ostina a farlo, deve ricorrere al suo tempo libero, alle ore straordinarie (per lo più non pagate) e al lavoro serale a casa. Solo per non morire da impiegati amministrativi forzati, e convincersi, magari con in tasca una brillante laurea in archeologia o in storia dell'arte, di avere scelto il lavoro migliore per le proprie competenze! 

Il direttore di un museo è una figura di grande prestigio sociale che esisteva dall'Ottocento a Trieste, e, in tutte le epoche, dall'Impero asburgico al Fascismo alla seconda repubblica nessuno ha mai messo in dubbio la necessità di questa figura, alla quale sono sempre state richieste competenze specifiche, archeologia, storia, storia dell'arte, scienze naturali. Si è sempre ritenuto indispensabile che ci fosse a dirigere i musei una persona all'altezza di studiare, conservare e incrementare, le memorie più preziose della città. E a dimostrazione della delicatezza e dell'importanza di questo compito, i direttori sono sempre stati tre, uno per i musei storici e archeologici, uno per il Museo Revoltella e uno per i musei scientifici. 

Se mai le sue gesta verranno raccontate in un museo cittadino, il sindaco Roberto Dipiazza verrà ricordato come colui che ha interrotto una storia di almeno 150 anni per lasciare i cimeli storici in balìa di se stessi, diciamo così, incustoditi. (Non è una parola scelta a caso: in tedesco e in sloveno la parola "kustos" si riferisce proprio al conservatore del museo). Non penserà mica che basti chiudere le porte a chiave ogni sera per assicurare la conservazione delle cose...

D'altra parte chi si oppone? La minoranza in Consiglio comunale ha tanto altro su cui combattere (anche se il consigliere Barbo ha tentato una reazione), il personale non può parlare, i visitatori sono di passaggio: se notano qualcosa che non va, tutt'al più scrivono due righe sul libro delle firme, e comunque non sono elettori. Insomma non c'è una controparte del Comune, non ci sono veri "portatori di interessi" in questa situazione. I portatori di interesse sono i cittadini, forse più quelli di domani che quelli di oggi, per cui è certo che per molto tempo non ci sarà nessuna reazione. 

E così nei  musei civici, che sono istituzioni centenarie di grande valore e di interesse nazionale (basti pensare al Museo Revoltella e alla sua eccezionale collezione, proprio quest'anno compie 150 anni: un compleanno amarissimo...) non esiste più un indirizzo scientifico, almeno di carattere generale,  nessuno è in condizioni e ha il potere di tracciare una via, un programma pluriennale, un progetto culturale di ampia portata. Le mostre si scelgono a caso, a seconda delle offerte che arrivano all'assessore da imprese del settore, vengono annunciate alla stampa prima ancora che se ne parli all'interno, almeno a livello di commissioni, e se ne valuti la qualità e la coerenza con l'attività istituzionale. 

Per quanto difficile (anche in passato la politica faceva pressioni, ovviamente) tra gli anni '90 e i primi tre lustri di questo secolo, è stato sempre possibile realizzare mostre originali nate dagli studi condotti nei musei e in collaborazione fra musei o con l'Università. Se oggi ci sono decine di cataloghi sull'arte del territorio, è dovuto anche alla continuità di questo lavoro. Purtroppo non è a questo che si punta, ormai, non conta nulla lasciare un'eredità di cultura che valga nel tempo

E' sufficiente "fare cassa": vedere entrare tanta gente con gli specchietti per le allodole dell'Impressionismo (ormai passato di moda anche dove ci hanno marciato per decenni) appaga l'orgoglio degli amministratori molto più di un buon catalogo scientifico. Ma i musei non sono solo stanze, sono contenitori di memoria e di identità. Meritano rispetto. Come farlo capire? 

Maria Masau Dan

direttore del Civico Museo Revoltella di Trieste dal 1992 al 2015



Commenti

  1. Assolutamente d'accordo su tutto con Maria Masau Dan. Tengo a sottolineare una cosa: certamente impossibile far ragionare Dipiazza, sempre tracotante, pieno di sè, e peraltro privo totalmente di acume ed altrettanto di cultura, che purtroppo la cttà dovrà sopportare ancora per 4 anni. Solamente proprio poverino e non solo per questa situazione: ma forse Trieste ha quello che si merita.

    hasta la victoria siempre
    Saluti, RobLinari - Trieste

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