Musei provinciali di Gorizia, serve una svolta
Sul passaggio dei Musei provinciali di Gorizia dalla Provincia alla Regione è in corso da almeno un anno un vivace dibattito, che, a dire il vero, ha coinvolto quasi soltanto politici e amministratori in un duro confronto, che ha visto, da una parte, il Comune di Gorizia, naturale erede del patrimonio storico conservato nei musei della città, e dall’altro la Regione, la Provincia e il Comune di Monfalcone, schierati a favore di una condivisione della proprietà tra i comuni di Gorizia e Monfalcone e di una gestione diretta della Regione.
Tra i pochi uomini di cultura che hanno contribuito a fare chiarezza in una situazione estremamente ingarbugliata e confusa, c’è Silvano Cavazza, docente di storia dell’Università di Trieste e profondo conoscitore della storia e degli archivi goriziani.
Riportiamo un suo interessante contributo pubblicato dal quotidiano “Il Piccolo” il 12 luglio 2016.
Vi ricordate il film in cui Totò proponeva a uno sprovveduto turista americano la vendita della fontana di Trevi, magnificando i vantaggi di un simile business? Quando vantano il valore del patrimonio dei Musei provinciali i nostri politici sembrano fare lo stesso. Parlare di milioni di euro (tanti milioni) attira certamente l’attenzione: ma che senso ha mettere l’etichetta del prezzo a beni che nessuno può vendere e nessuno può acquistare? A me, da vecchio insegnante, sembra un comportamento del tutto diseducativo. La tendenza a monetizzare il patrimonio culturale purtroppo viene dall’alto, ossia dal ministero dei Beni culturali: da quando è stato annesso al ministero del Turismo sembra considerare solo il punto di vista economico. Il turismo serve a fare soldi, lo sanno tutti: è la ricchezza nazionale, il nostro petrolio. Si deve dunque parlare di turismo culturale, come si parla di turismo balneare, di turismo gastronomico, di cicloturismo ecc. Archivi, biblioteche, musei esistono ben prima del turismo. È una cosa eccellente che servano anche ad attirare visitatori e a creare reddito: ma il loro compito primario non può essere questo. Essi innanzitutto devono conservare l’eredità culturale e civile di uno stato e dei territori che lo compongono. Si tratta di valori assoluti che non si possono quantificare in denaro. Piuttosto rappresentano dei costi, di cui la società deve prendersi carico, non diversamente, per esempio, dall’istruzione o dalla sanità. Nessun governante si sognerebbe di abolire l’istruzione pubblica per risanare il deficit dello stato: eppure per secoli il mondo è andato avanti senza. Ci sono conquiste di civiltà da cui non è possibile tornare indietro, anche se il tornaconto immediato può sembrare inesistente. La provincia di Gorizia, che ora sta smobilitando, ha rappresentato l’ultima fase di una realtà storica durata un millennio. Con la sua soppressione sparirà per sempre dall’Italia lo stemma dei conti di Gorizia, che d’ora in avanti apparterrà soltanto alla città di Lienz, la prima sede della loro dinastia. Per chi si occupi della storia del territorio è un fatto epocale: si porta a compimento quello che nel corso dei secoli avevano cercato invano di realizzare i patriarchi di Aquileia, la repubblica di Venezia e, per ultima, l’Italia di Mussolini. È un successo davvero singolare per un’istituzione, come quella regionale, creata per sostenere le autonomie locali. Nel dibattito che c’è stato negli ultimi mesi sul destino dei Musei Provinciali si è parlato di varie cose, a volte mai udite: dal vincolo pertinenziale alla proprietà indivisa; su tutto, a sinistra come a destra, il tema del turismo culturale, con mostre, festival ed eventi vari. In pochi (troppo pochi, per una città dove quasi ogni settimana uno storico presenta il proprio libro) abbiamo rivendicato la necessità che i Musei Provinciali in primo luogo mantengano e valorizzino le memorie della storia e della cultura goriziane: che è poi la ragione per la quale essi erano stati istituiti, centocinquanta anni fa, da amministratori molto più colti e avveduti degli attuali. Il cambiamento è ormai definivo: le leve di comando sono passate alla Regione e all’Erpac. La divisione del patrimonio museale tra Gorizia e Monfalcone è stata una manovra puramente elettoralistica (di per sé abbastanza stupida): ma potrà diventare irrilevante se le due parti faranno prevalere il buon senso. Il direttore dell’Erpac dichiara di garantire continuità con il passato. Sarebbe invece auspicabile una svolta radicale rispetto alla politica precedente della Provincia. C’è una certa incongruenza tra l’altissimo valore attribuito dall’amministrazione alle raccolte archivistiche e bibliografiche dei Musei Provinciali (oltre l’80 per cento del totale) e il sostanziale disinteresse in cui esse sono state lasciate negli ultimi anni. La giunta Gherghetta e la direzione dei Musei hanno fatto assai poco per studiare, valorizzare e incrementare questo patrimonio; non sono state garantite con continuità nemmeno le esigenze più immediate di conservazione, restauro e aggiornamento del materiale posseduto. La Regione, con un atto puramente politico, non ha voluto affidare al Comune (oppure allo Stato, come altrove) la gestione di beni che per secoli sono appartenuti alla città, come capoluogo del territorio. La Regione, o per essa l’Erpac, adesso deve assumere il compito di salvaguardare la memoria di mille anni di storia goriziana.
Silvano Cavazza
Tra i pochi uomini di cultura che hanno contribuito a fare chiarezza in una situazione estremamente ingarbugliata e confusa, c’è Silvano Cavazza, docente di storia dell’Università di Trieste e profondo conoscitore della storia e degli archivi goriziani.
Riportiamo un suo interessante contributo pubblicato dal quotidiano “Il Piccolo” il 12 luglio 2016.
Vi ricordate il film in cui Totò proponeva a uno sprovveduto turista americano la vendita della fontana di Trevi, magnificando i vantaggi di un simile business? Quando vantano il valore del patrimonio dei Musei provinciali i nostri politici sembrano fare lo stesso. Parlare di milioni di euro (tanti milioni) attira certamente l’attenzione: ma che senso ha mettere l’etichetta del prezzo a beni che nessuno può vendere e nessuno può acquistare? A me, da vecchio insegnante, sembra un comportamento del tutto diseducativo. La tendenza a monetizzare il patrimonio culturale purtroppo viene dall’alto, ossia dal ministero dei Beni culturali: da quando è stato annesso al ministero del Turismo sembra considerare solo il punto di vista economico. Il turismo serve a fare soldi, lo sanno tutti: è la ricchezza nazionale, il nostro petrolio. Si deve dunque parlare di turismo culturale, come si parla di turismo balneare, di turismo gastronomico, di cicloturismo ecc. Archivi, biblioteche, musei esistono ben prima del turismo. È una cosa eccellente che servano anche ad attirare visitatori e a creare reddito: ma il loro compito primario non può essere questo. Essi innanzitutto devono conservare l’eredità culturale e civile di uno stato e dei territori che lo compongono. Si tratta di valori assoluti che non si possono quantificare in denaro. Piuttosto rappresentano dei costi, di cui la società deve prendersi carico, non diversamente, per esempio, dall’istruzione o dalla sanità. Nessun governante si sognerebbe di abolire l’istruzione pubblica per risanare il deficit dello stato: eppure per secoli il mondo è andato avanti senza. Ci sono conquiste di civiltà da cui non è possibile tornare indietro, anche se il tornaconto immediato può sembrare inesistente. La provincia di Gorizia, che ora sta smobilitando, ha rappresentato l’ultima fase di una realtà storica durata un millennio. Con la sua soppressione sparirà per sempre dall’Italia lo stemma dei conti di Gorizia, che d’ora in avanti apparterrà soltanto alla città di Lienz, la prima sede della loro dinastia. Per chi si occupi della storia del territorio è un fatto epocale: si porta a compimento quello che nel corso dei secoli avevano cercato invano di realizzare i patriarchi di Aquileia, la repubblica di Venezia e, per ultima, l’Italia di Mussolini. È un successo davvero singolare per un’istituzione, come quella regionale, creata per sostenere le autonomie locali. Nel dibattito che c’è stato negli ultimi mesi sul destino dei Musei Provinciali si è parlato di varie cose, a volte mai udite: dal vincolo pertinenziale alla proprietà indivisa; su tutto, a sinistra come a destra, il tema del turismo culturale, con mostre, festival ed eventi vari. In pochi (troppo pochi, per una città dove quasi ogni settimana uno storico presenta il proprio libro) abbiamo rivendicato la necessità che i Musei Provinciali in primo luogo mantengano e valorizzino le memorie della storia e della cultura goriziane: che è poi la ragione per la quale essi erano stati istituiti, centocinquanta anni fa, da amministratori molto più colti e avveduti degli attuali. Il cambiamento è ormai definivo: le leve di comando sono passate alla Regione e all’Erpac. La divisione del patrimonio museale tra Gorizia e Monfalcone è stata una manovra puramente elettoralistica (di per sé abbastanza stupida): ma potrà diventare irrilevante se le due parti faranno prevalere il buon senso. Il direttore dell’Erpac dichiara di garantire continuità con il passato. Sarebbe invece auspicabile una svolta radicale rispetto alla politica precedente della Provincia. C’è una certa incongruenza tra l’altissimo valore attribuito dall’amministrazione alle raccolte archivistiche e bibliografiche dei Musei Provinciali (oltre l’80 per cento del totale) e il sostanziale disinteresse in cui esse sono state lasciate negli ultimi anni. La giunta Gherghetta e la direzione dei Musei hanno fatto assai poco per studiare, valorizzare e incrementare questo patrimonio; non sono state garantite con continuità nemmeno le esigenze più immediate di conservazione, restauro e aggiornamento del materiale posseduto. La Regione, con un atto puramente politico, non ha voluto affidare al Comune (oppure allo Stato, come altrove) la gestione di beni che per secoli sono appartenuti alla città, come capoluogo del territorio. La Regione, o per essa l’Erpac, adesso deve assumere il compito di salvaguardare la memoria di mille anni di storia goriziana.
Silvano Cavazza
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