MUSEI, SI VOLTA PAGINA Le nuove norme regionali in materia di beni culturali
Riteniamo utile riprendere due interventi -
rispettivamente di Isabella Reale e di Maria Masau Dan - pubblicati dal
"Giornale dell'Arte" nello speciale di giugno 2016 "Vedere in Friuli
Venezia Giulia" >>>
.
Alla distruzione del patrimonio causata dal terremoto
del 1976, l’intero Friuli reagì con un rinnovato impegno nella
conservazione e nella tutela, ma anche nella valorizzazione, all’insegna di un
forte richiamo alla propria identità culturale: fondamentale la nuova legge la
Legge n. 60 promulgata dalla regione Friuli-Venezia Giulia nel novembre 1976, Interventi
per lo sviluppo dei servizi e degli istituti bibliotecari e museali e per la
tutela degli immobili di valore artistico, storico od ambientale, degli archivi
storici e dei beni mobili culturali del Friuli - Venezia Giulia, che rilanciò
gli studi, i restauri, promuovendo le istituzioni come il centro di
catalogazione e la scuola di restauro di Villa Manin di Passariano, e
soprattutto la crescita dei musei chiamati a svolgere un imprescindibile ruolo
di riferimento per il territorio di competenza. Una legge avanzata dunque
per l’epoca, ma sono passati quasi quarant’ anni, e nel frattempo l’abbattersi
della crisi economica ha gravemente penalizzato le nostre istituzioni, a
dire il vero alle volte proliferate senza criterio se non quello del campanile, la
latitanza di una “politica culturale” a favore del mostrismo effimero e
velleitario ha ridotto i musei civici a uffici amministrativi e ogni
autonomia e programmazione culturale, come ben esplicitato qui sotto da Maria
Masau Dan, l’ultimo direttore di museo nella storia della nostra
regione, tra l’altro recentemente pensionata. Tuttavia nel frattempo nuovi
modelli –provenienti d’oltralpe- hanno permeato l’immagine del museo
contemporaneo, e città virtuose ne beneficiano a livello sociale e turistico:
centro attivo, promotore di imprese culturali, gestito come luogo di sosta
piacevole, di cultura diffusa anche attraverso le tecnologie digitali,
attrattivo dal punto di vista degli allestimenti, della
comunicazione e di quel “diletto” che è parte integrante del piacere di sostare
nelle sale espositive. E dopo decenni di inerzia della politica
regionale, durante i quali molti Musei hanno perso il senso della loro
missione, ricordando che “museo” è “una
struttura permanente che acquisisce, cataloga, conserva, ordina ed espone beni
culturali per finalità di educazione e di studio» (Codice dei beni culturali, art. 101,
comma 2 “Istituti e luoghi della cultura”, lettera a), si volta pagina.
Oggi la riforma degli enti locali, la prospettiva
delle UTI ma soprattutto l’esigenza di lavorare insieme per contribuire a
costruire un’immagine identitaria più forte, e di conseguenza culturalmente
condivisa, della nostra regione, con le sue molteplici anime che la
rendono così “speciale”, ha portato a un deciso cambiamento di
rotta. La direzione è quella di “fare sistema”, ovvero fare squadra, con una
reale condivisione degli obiettivi comuni al fine di essere più incisivi nelle
azioni di valorizzazione del patrimonio e del turismo culturale, che le
indagini ISTAT ci indicano in costante crescita. Ciò implica di fatto la
volontà di riconquistare alla cultura il ruolo che gli spetta dal punto di
vista del progresso e della crescita sociale delle nostre comunità, essendo i
Musei istituzioni al servizio della società e del suo sviluppo. La Legge regionale
n. 23 del settembre 2015 il cui regolamento
ora è in fase di elaborazione, ha finalmente istituito il sistema regionale di
musei del Friuli Venezia Giulia, ponendo dei precisi standard di qualità da
raggiungere se ci si vuole fregiare della tabella di “MUSEO”:
regolamento, personale qualificato, offerta formativa, rotazione e
valorizzazione delle collezioni, ricerca costante e rapporto col territorio,
patrimonio consultabile on line, e quindi condiviso. Il tempo
di mettersi in carreggiata, e per i musei minori e medi di coordinarsi mettendo
insieme servizi e obiettivi, in un ‘ottica di sussidiarietà, e
conseguentemente di investire sul capitale umano e sulla professionalità dei
bravi e giovani studiosi, archivisti, bibliotecari, piuttosto che
sperperare in inutili mostre, dopo di che verranno finanziati dalla regione
solo i sistemi in regola con gli standard e la progettualità condivisa: il
resto è fuori.
E per gestire tale processo, l’assessorato alla
cultura della regione ha anche istituito l’ERPAC, con il DDL 137 dello
scorso 22 febbraio, ovvero l’Ente regionale per il patrimonio culturale, uno
strumento di cui da tempo le altre regioni si erano dotate conseguendo
risultati avanzati nel campo della gestione, ottimizzazione e valorizzazione
nel settore. All’Erpac ora spetta di dare gambe alla Legge n. 23 e svolgere
funzioni di coordinamento del compendio di Villa Manin di Passariano, ovvero
dell’Azienda speciale e dell’Istituto regionale per il patrimonio culturale,
deputato, oltreché ad attività promozionali, alla catalogazione e al restauro
dei beni culturali regionali. Ciò che di conseguenza ci si aspetta
dall’ERPAC è non di amministrare beni sparsi qua e là sul territorio, a
tavolino, ma in buona sostanza coordinare un disegno territoriale della cultura
concepito come un unico sistema integrato. Tra le azioni primarie e
urgenti, e non certo di poco impegno, sarà quella di favorire, e anche
eventualmente coordinare, con un monitoraggio periodico relativamente al
raggiungimento degli obiettivi, la costituzione di sistemi museali integrati al
territorio intorno a poli museali legati alle città capoluogo, nelle modalità
indicate dalla stessa Legge 32; in parallelo, supportare e favorire le attività
culturali e la valorizzazione dei beni nel processo di costituzione delle UTI sostituendosi
alle provincie nelle loro competenze in materia beni culturali. Non ultimo,
promuovere tali sistemi e il loro territorio con un’azione integrata a livello
anche turistico e di comunicazione, il tutto favorendo l’accesso ai
finanziamenti comunitari,per mettere in pratica un nuovo modo di cooperazione e
progettualità e recuperare finanziamenti oggi inaccessibili alla maggior
parte delle realtà istituzionali museali della nostra regione. I Musei del Friuli
Venezia Giulia dunque sono finalmente chiamati a voltare pagina e ad
essere davvero “speciali”.
Isabella Reale
Musei civici di Pordenone -
Conservatore
Fare sistema va bene. Abbiamo atteso
per anni che la Regione Friuli Venezia Giulia scoprisse quanto si discuteva in
Italia, fin dagli anni Novanta, di sistemi museali e delle loro
applicazioni. Ma qui all’estremo Nord-Est la discussione non è neppure
iniziata, visto che gli ultimi convegni regionali sui musei sono datati alla
metà degli anni Ottanta, praticamente ancora sull’onda del fervore
ricostruttivo del post-terremoto. E col tempo si è dissolta anche quella
parvenza di “sistema” che era costituita dalla Commissione regionale dei musei,
un organismo che quanto meno permetteva annualmente di incontrare i colleghi e
sentire “l’aria che tirava” dalle loro parti.
Adesso non è più un problema di
discussione o di confronti sui contenuti. Sono stati azzerati i soggetti in
grado di discutere. E la legge 23 (di cui riconosciamo comunque il merito alla
Regione di avere “disseppellito” il tema ormai dimenticato dei musei) atterra
nel deserto, piena di buone intenzioni ma di fatto inapplicabile.
Fare sistema come? L’ampia
letteratura esistente sui sistemi museali evidenzia che i progetti di
collaborazione in campo culturale hanno successo in presenza di tre
fattori: la disponibilità di risorse umane competenti; la qualità delle
relazioni fra i partecipanti; la sponsorship politica. In Friuli Venezia
Giulia si rileva una criticità molto alta su tutti e tre i punti. Per quanto
riguarda la competenza del personale, basti considerare che in tutti i quattro
capoluoghi i principali musei non sono più dotati di un direttore di ruolo,
anzi la figura del direttore di museo di fatto è stata già espulsa dalla
categoria della dirigenza pubblica. Passando al livello dei vicedirettori e funzionari,
in tutta la regione ci sono meno di venti conservatori di musei pubblici, di
cui la maggior parte, anzichè della conservazione e della valorizzazione delle
collezioni, si occupa di pratiche amministrative o della sicurezza, spauracchio
continuamente agitato dai Comuni. Per non parlare delle figure tecniche,
allestitori e restauratori, praticamente ridotti a meno delle dita di una mano.
Insomma per fare un paragone che funziona sempre, come ospedali senza primari,
tecnici di laboratorio e infermieri. Dura fin che dura…
Una situazione vicina allo stremo,
inoltre, rende difficile mantenere relazioni di qualità con le altre
istituzioni e stringere rapporti di collaborazione, così come renderà
impossibile assumere leadership o qualsiasi altro ruolo attivo
all’interno di una rete. Sempre che non si pensi che la rete si farà con I
funzionari amministrativi… Ormai qualsiasi tabù viene infranto.
Infine la sponsorship politica
per ora è stata avvistata solo in Regione, ma negli enti locali gli assessori
alla cultura hanno preferito non analizzare il problema del personale, come se
non fosse cruciale per qualsiasi programmazione di qualità. Tanto c’è sempre
una bella scusa, il blocco delle assunzioni, che per questo comparto è stato
rigorosamente rispettato.
Maria Masau Dan
Museo Revoltella e Musei civici di
storia ed arte - Direttore fino al 30 novembre 2015.
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