Chiude l'AIM, Alinari Image Museum, di Trieste.
Ci siamo occupati, pochissimi giorni fa, di un museo atteso da vent'anni e ancora lontano dalla sua realizzazione, il Museo Nazionale dell'Archeologia subacquea di Grado, per il quale sono state spese somme ingenti, costruita una sede, pagati progettisti, restauratori, archeologi. Inutilmente. E quel che è peggio, questo fallimento è avvenuto nell'indifferenza generale. Se all'inizio c'è stato qualcuno a cui quest'impresa sembrava importante, e che ha spinto per trovare le risorse e avviarla, è chiaro che oggi la motivazione non c'è più e, forse, anche se si dovesse arrivare al termine dei lavori e all'inaugurazione, la stanchezza accumulata negli anni difficilmente potrebbe portare a un vero e duraturo successo.
In tutti i progetti, ma in particolare nei progetti culturali, dove la spinta principale non è mai quella del profitto, contano moltissimo le persone e le loro motivazioni. Non solo questo, ma anche la loro capacità di coinvolgere altri soggetti e di fare convergere altre energie nell'impresa. Diffondendo attorno a sé la convinzione che la strada imboccata è quella giusta.
Tutti i musei nascono da un'alleanza di diverse componenti, anche quelli in cui sembra che l'unica molla siano state la volontà di un singolo mecenate e le risorse che vi ha destinato. Nessuna istituzione culturale può svolgere veramente una funzione se non rappresenta e se non sa mantenere una molteplicità e una convergenza di interessi.
E' una riflessione suscitata non solo dal caso di Grado, ma da un'altra brutta notizia di questi giorni: la chiusura del museo della fotografia di Trieste, Alinari Image Museum, a meno di tre anni dalla sua inaugurazione (ottobre 2016) e dopo un'attività piuttosto intensa, in uno spazio restaurato del Castello di San Giusto.
Anche in questo caso si può dire che sia mancata proprio la convergenza di interessi. Il solo a volere fortemente questo museo è stato il presidente della Fondazione Alinari, il triestino Claudio de Polo, che ha portato in città non un museo qualsiasi, ma una struttura tecnologica indiscutibilmente innovativa che ha rappresentato un vero, inaspettato, salto nella contemporaneità per un sistema museale, come quello triestino, poco propenso all'innovazione e, salvo qualche cauto riallestimento, o qualche trasferimento delittuoso (il Museo di Storia Naturale), abbastanza immobile nel suo complesso. Un sistema nel quale da tempo mancano visioni e forti indirizzi culturali e nemmeno le grandi sfide in arrivo col rinnovamento del Porto Vecchio (dove, alla fine, si sposterà solo il Museo del Mare) sembrano accendere qualche lampo di fantasia.
Chi avrebbe potuto avere un interesse almeno pari a quello di de Polo nell'impresa AIM, cioè il Comune di Trieste, non solo non ha saputo approfittarne ma non ne ha proprio capito le potenzialità e il valore. Anziché il traino per tutti gli altri musei, anche come vetrina, e l'occasione per collegarlo - sfruttandolo - alle immense miniere di fotografia storica triestina possedute dal Comune, l'AIM è stato per due anni un corpo estraneo, una specie di intruso. Nessuna promozione, nessuna collaborazione, anzi aperta concorrenza. Biglietto stracciato per il Castello (3 euro) e normale (8 euro) per il Museo della fotografia. Per di più obbligo di acquistare il biglietto del Castello anche per i rari appassionati diretti esclusivamente all'AIM. Inutile dire che, in mancanza di un biglietto unico, la massa dei visitatori, che sono turisti per lo più, sceglie la soluzione "minima", non si convince certo a quadruplicare la spesa passando da 3 a 11 euro a persona.
Ma questi sono dettagli, quando c'è una motivazione i problemi si risolvono, perché l'obiettivo principale è il servizio all'utenza, il successo dell'impresa. Evidentemente questo obiettivo non era affatto condiviso, anzi più di uno ha lavorato per non raggiungerlo.
A quanto si legge sul quotidiano cittadino, l'assessore alla cultura non sarebbe preoccupato per la decisione dell'AIM di chiudere definitivamente e di lasciare vuoto il bel Bastione fiorito di San Giusto, forte dei 125.000 visitatori che il Castello avrebbe conteggiato indipendentemente dall'AIM, che ne ha avuti solo 8.000.
Ma è noto che nella valutazione di un museo i numeri sono solo uno dei fattori di successo. Conta molto anche la percezione che il visitatore ricava dalla visione del museo, dell'allestimento, della comunicazione, dei servizi. E non è certo che tutti quelli che pagano il biglietto d'ingresso escano soddisfatti.
In molti casi, specialmente quando si tratta di musei turistici, basta qualche centinaio di recensioni su Tripadvisor per capire l' "umore" della maggioranza dei visitatori. Quando si legge troppe volte che il recensore è soddisfatto di avere pagato un biglietto basso, come succede con i commenti su San Giusto, dovrebbe scattare un campanello d'allarme. Tradotto: "Vale poco, almeno ho pagato poco...."
Ma è questo che perseguono le politiche culturali di un Comune importante?
L'AIM, peccato che nessuno l'abbia capito, sarebbe stato il valore aggiunto, la parte nuova e sorprendente, per i visitatori di un edificio, che, a parte il panorama - non se ne abbiano i triestini - oggettivamente è meno suggestivo del resto della città.
Quando si guidano istituzioni culturali si deve mettersi dalla parte del pubblico e curare il prodotto che si mette in vendita. Purtroppo la clientela turistica è un target che interessa poco, perché ha due difetti: probabilmente non ritorna una seconda volta e, sicuramente, non vota in città. I turisti sono per molti gestori una massa indifferenziata, né teste pensanti né interlocutori, ma solo biglietti, purtroppo.
Questa mentalità, nelle strutture pubbliche, si propaga facilmente dai vertici alla base e porta a una progressiva riduzione della quantità e della qualità dei servizi. Né può convivere a lungo con una realtà troppo diversa, gestita con logica da impresa privata e tesa alla qualità. Alla fine la chiusura dell'AIM per molti (non solo per l'assessore, ma per buona parte del suo entourage) è solo un problema in meno. Qualche cittadino protesterà? Macché! Non succederà nulla. Delitto perfetto.
P.S. c'è anche un precedente: l'eliminazione del ristorante del Castello di San Giusto, rinnovato dieci anni fa, dotato di una strumentazione di alta qualità, ma chiuso da anni. Un altro problema risolto.
Maria Masau Dan
In tutti i progetti, ma in particolare nei progetti culturali, dove la spinta principale non è mai quella del profitto, contano moltissimo le persone e le loro motivazioni. Non solo questo, ma anche la loro capacità di coinvolgere altri soggetti e di fare convergere altre energie nell'impresa. Diffondendo attorno a sé la convinzione che la strada imboccata è quella giusta.
Tutti i musei nascono da un'alleanza di diverse componenti, anche quelli in cui sembra che l'unica molla siano state la volontà di un singolo mecenate e le risorse che vi ha destinato. Nessuna istituzione culturale può svolgere veramente una funzione se non rappresenta e se non sa mantenere una molteplicità e una convergenza di interessi.
E' una riflessione suscitata non solo dal caso di Grado, ma da un'altra brutta notizia di questi giorni: la chiusura del museo della fotografia di Trieste, Alinari Image Museum, a meno di tre anni dalla sua inaugurazione (ottobre 2016) e dopo un'attività piuttosto intensa, in uno spazio restaurato del Castello di San Giusto.
Anche in questo caso si può dire che sia mancata proprio la convergenza di interessi. Il solo a volere fortemente questo museo è stato il presidente della Fondazione Alinari, il triestino Claudio de Polo, che ha portato in città non un museo qualsiasi, ma una struttura tecnologica indiscutibilmente innovativa che ha rappresentato un vero, inaspettato, salto nella contemporaneità per un sistema museale, come quello triestino, poco propenso all'innovazione e, salvo qualche cauto riallestimento, o qualche trasferimento delittuoso (il Museo di Storia Naturale), abbastanza immobile nel suo complesso. Un sistema nel quale da tempo mancano visioni e forti indirizzi culturali e nemmeno le grandi sfide in arrivo col rinnovamento del Porto Vecchio (dove, alla fine, si sposterà solo il Museo del Mare) sembrano accendere qualche lampo di fantasia.
Chi avrebbe potuto avere un interesse almeno pari a quello di de Polo nell'impresa AIM, cioè il Comune di Trieste, non solo non ha saputo approfittarne ma non ne ha proprio capito le potenzialità e il valore. Anziché il traino per tutti gli altri musei, anche come vetrina, e l'occasione per collegarlo - sfruttandolo - alle immense miniere di fotografia storica triestina possedute dal Comune, l'AIM è stato per due anni un corpo estraneo, una specie di intruso. Nessuna promozione, nessuna collaborazione, anzi aperta concorrenza. Biglietto stracciato per il Castello (3 euro) e normale (8 euro) per il Museo della fotografia. Per di più obbligo di acquistare il biglietto del Castello anche per i rari appassionati diretti esclusivamente all'AIM. Inutile dire che, in mancanza di un biglietto unico, la massa dei visitatori, che sono turisti per lo più, sceglie la soluzione "minima", non si convince certo a quadruplicare la spesa passando da 3 a 11 euro a persona.
Ma questi sono dettagli, quando c'è una motivazione i problemi si risolvono, perché l'obiettivo principale è il servizio all'utenza, il successo dell'impresa. Evidentemente questo obiettivo non era affatto condiviso, anzi più di uno ha lavorato per non raggiungerlo.
A quanto si legge sul quotidiano cittadino, l'assessore alla cultura non sarebbe preoccupato per la decisione dell'AIM di chiudere definitivamente e di lasciare vuoto il bel Bastione fiorito di San Giusto, forte dei 125.000 visitatori che il Castello avrebbe conteggiato indipendentemente dall'AIM, che ne ha avuti solo 8.000.
Ma è noto che nella valutazione di un museo i numeri sono solo uno dei fattori di successo. Conta molto anche la percezione che il visitatore ricava dalla visione del museo, dell'allestimento, della comunicazione, dei servizi. E non è certo che tutti quelli che pagano il biglietto d'ingresso escano soddisfatti.
In molti casi, specialmente quando si tratta di musei turistici, basta qualche centinaio di recensioni su Tripadvisor per capire l' "umore" della maggioranza dei visitatori. Quando si legge troppe volte che il recensore è soddisfatto di avere pagato un biglietto basso, come succede con i commenti su San Giusto, dovrebbe scattare un campanello d'allarme. Tradotto: "Vale poco, almeno ho pagato poco...."
Ma è questo che perseguono le politiche culturali di un Comune importante?
L'AIM, peccato che nessuno l'abbia capito, sarebbe stato il valore aggiunto, la parte nuova e sorprendente, per i visitatori di un edificio, che, a parte il panorama - non se ne abbiano i triestini - oggettivamente è meno suggestivo del resto della città.
Quando si guidano istituzioni culturali si deve mettersi dalla parte del pubblico e curare il prodotto che si mette in vendita. Purtroppo la clientela turistica è un target che interessa poco, perché ha due difetti: probabilmente non ritorna una seconda volta e, sicuramente, non vota in città. I turisti sono per molti gestori una massa indifferenziata, né teste pensanti né interlocutori, ma solo biglietti, purtroppo.
Questa mentalità, nelle strutture pubbliche, si propaga facilmente dai vertici alla base e porta a una progressiva riduzione della quantità e della qualità dei servizi. Né può convivere a lungo con una realtà troppo diversa, gestita con logica da impresa privata e tesa alla qualità. Alla fine la chiusura dell'AIM per molti (non solo per l'assessore, ma per buona parte del suo entourage) è solo un problema in meno. Qualche cittadino protesterà? Macché! Non succederà nulla. Delitto perfetto.
P.S. c'è anche un precedente: l'eliminazione del ristorante del Castello di San Giusto, rinnovato dieci anni fa, dotato di una strumentazione di alta qualità, ma chiuso da anni. Un altro problema risolto.
Maria Masau Dan
Io protesto.
RispondiEliminaa Ljubljana sarebbe aprezzato e capito. che peccato!
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