Come si è arrivati all'abolizione del direttore dei musei

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 Immagine dalla pagina Facebook di ADESSO TRIESTE 

Giovedì 15 settembre 2022 al Knulp Bar di Trieste, per iniziativa del gruppo ADESSO TRIESTE, e a cura di Deborah Borca e Alessandro Ruzzier ha avuto luogo un incontro sul tema dell'abolizione della figura del direttore scientifico dei Musei civici e della Biblioteca civica di Trieste a cui hanno partecipato Ludovico Solima, Maria Masau Dan e Giuliana Ericani. E' seguito un ampio dibattito.

Tra gli interventi riproponiamo (con alcune integrazioni) quello di Maria Masau Dan, già direttrice del Museo Revoltella.

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IL PERCORSO INVERSO DEL SISTEMA MUSEALE TRIESTINO,
DALLA FUNZIONALITA' ALL'INGOVERNABILITA'

1. Direttore-conservatore ma non conservatore-direttore.

Quando sono arrivata al Museo Revoltella, nel 1991, nell’organico non c’era la figura del conservatore, o, meglio, era prevista nel Regolamento del museo ma non era presente. Non era mai stata presente, mentre dalla fondazione del museo (1872) era sempre esistito il direttore. Non c’era, dunque, una vera struttura per la gestione culturale come si intende oggi. Il direttore era solo, con uno o due impiegati. Nel 2002 finalmente è stato indetto un concorso per conservatori, e uno è stato assegnato al Museo Revoltella. 
Adesso il direttore, che per 150 anni è stata l'unica figura mai toccata dai cambiamenti, è scomparso da tutte le istituzioni culturali più antiche e importanti di Trieste, non solo dal Museo Revoltella, ma anche dai Musei di Storia e Arte, dai Musei Scientifici e dalla Biblioteca Civica, ed è gravissimo, perché di fatto sono state cancellate senza motivo istituzioni centenarie. Perché, piaccia o no, l'istituzione da sempre si identifica con la sua direzione, nel bene e nel male. 
Secondo l’Amministrazione che ha voluto questo cambiamento, per guidare scientificamente i musei basterebbero i conservatori, cioè funzionari non dirigenti, senza potere di spesa, senza gestione del personale, mentre per la direzione unificata di tutti i 20 musei si è scelto a un dirigente amministrativo che, tra l’altro, non si occupa solo di musei, ma anche di Promozione Turistica, Eventi Culturali e Sportivi. Data la preponderanza che hanno assunto gli eventi, è evidente che i musei in questo contesto sono diventati proprio il fanalino di coda. E che, non solo lo sviluppo delle istituzioni, che è impensabile in queste condizioni, ma anche la qualità dei servizi non è certo sotto controllo.
In un museo lo sdoppiamento tra guida scientifica e direzione amministrativa è insensato e non può funzionare. Men che meno in un ordine gerarchico che subordina le funzioni culturali a quelle amministrative. 

2. Lo svuotamento dei musei e lo strapotere dell'area cultura

Questa vicenda è scoppiata adesso, ma viene da lontano perché già intorno al 2001 era chiaro che ci sarebbe stato un futuro difficile per i musei civici; era allarmante soprattutto che non ci fosse la volontà di indire concorsi per i posti vacanti.
Infatti due su quattro erano vacanti: la direzione dei Musei di storia ed arte era ricoperta da un facente funzioni da quindici anni circa e quella della Biblioteca civica restava scoperta proprio nel 2001 col pensionamento della direttrice.
Ma nessuno parlava di concorsi. Si continuava con gli incarichi provvisori, in attesa di non si sa cosa. Ma non si perdeva la speranza di dare a questi ruoli una sistemazione definitiva. Tuttavia nessuno poteva immaginare che, invece, si sarebbe arrivati alla totale decapitazione di oggi, con un processo di progressivo smantellamento che concretamente parte nel 2010 e si compie nel 2022.
Attraverso un breve excursus storico cercherò di ricostruire questa brutta pagina della cultura triestina.  
Dobbiamo tornare un po'indietro, agli anni Novanta, cioè all’ultima fase in cui il sistema dei musei e delle biblioteche, articolato nelle quattro direzioni, effettivamente ha funzionato.
Premetto che è stato un periodo per molti versi problematico, con alcuni conflitti che hanno caricato il lavoro di tensioni, però se lo valutiamo oggettivamente, dal punto di vista della produttività e del prestigio raggiunto dalle istituzioni, non c’è dubbio che è stata una fase molto positiva e irripetibile.
Probabilmente sarà stata anche la cultura dell’efficienza della Giunta Illy, però l’obiettivo era quello di migliorare le prestazioni della struttura esistente, non di modificarla per eliminare i problemi. Certamente c’era più metodo nella conduzione della politica culturale (anzi, allora c'era una politica culturale) e c'erano più condivisione, più attenzione all’organizzazione del lavoro e un più intelligente sfruttamento delle capacità di ciascuno.
Noi direttori eravamo messi al corrente delle strategie e anche ascoltati e rispettati. Quante volte abbiamo scongiurato il pericolo di fare delle mostre mediocri fornendo consulenza all'assessore! Non c’era nessun problema di "generali" da temere e "colonnelli" da premiare. Ciascuno sapeva quale era il suo ruolo e non aveva bisogno di prendersi quello dell’altro. Perchè, in realtà, tutti lo sapevano fare.
Insomma, erano tempi normali che adesso però ci sembrano eccezionali. C'era ancora molto da migliorare, ma nessuno di sognava di scardinare il sistema della cultura. Le quattro istituzioni culturali più importanti per la storia di Trieste erano presidiate ciascuna da un direttore ed erano coordinate da una direzione dell' Area Cultura che si occupava anche di sport. La divisione dei compiti era piuttosto netta
Il direttore di area, sebbene in una posizione gerarchica più alta, non interferiva con l’attività museale vera e propria, faceva da supporto soprattutto per le questioni di bilancio, di personale, di sicurezza, si interfacciava con le altre aree (la Ragioneria, i Lavori Pubblici), si occupava di contributi, di pianificazione e distribuzione delle risorse. Era anche il tramite tra direzioni di musei e assessore, utile soprattutto nelle situazioni critiche.
Diciamo che al contrario di oggi, quando vediamo i musei al servizio dell’Area Cultura e dell’assessorato, l’Area Cultura era veramente al servizio dei musei. Quando invece i direttori di area hanno iniziato ad accentrare su di sé buona parte del potere dei direttori dei musei, senza che nessuno dei politici si sia accorto, o forse proprio con la condiscendenza dei politici, è iniziata la deriva che ci ha portato al disordine di oggi. Perché il potere si è spostato dalla sfera scientifica a quella amministrativa e politica. Alterando gli equilibri e facendo diventare il direttore di area l'unico dominus e il direttore dei musei un peso inutile. Ma le conseguenze saranno inevitabili e gravi.

3. Come si lavorava in tempi normali  

Fino agli anni Novanta c’era un’altra utile consuetudine, la pianificazione. In settembre venivamo convocati dall'assessore per presentare dei programmi per l’anno successivo. Ciascun direttore aveva la sua lista dei progetti. Si cercava di seguire una logica, dei filoni. Ad esempio, per quanto riguarda il Revoltella, ogni anno si dedicava una mostra a un artista triestino o regionale, alternando le figure storiche alle nuove generazioni, l’arte locale ai temi internazionali. L’assessore aveva a sua volta delle proposte e si apriva una discussione. Non tutto filava liscio, a volte ci sono stati anche confronti molto aspri, che non rimpiango certamente. Comunque si arrivava sempre a una sintesi, a dei compromessi accettabili, c’erano chiarezza, condivisione, strategia, rispetto delle competenze. E il rapporto fra assessore e dirigenti era equilibrato, erano figure complementari. 
Talvolta in corso d'opera si modificava qualcosa, ma non c'erano gli stravolgimenti e l'improvvisazione che si è vista dopo. Comunque, si seguiva la programmazione e si rispettavano le regole: ad esempio si convocava come da regolamento il Curatorio, dove magari avvenivano discussioni e scontri, ma non per questo si cancellava il Curatorio.

4. Strategie del passato: grandi mostre, mostre itineranti e anche musei.

Gli anni Novanta sono quelli della giunta di Riccardo Illy, in carica dal 1993 al 2001, e dell’assessorato di Roberto Damiani. E’ stata una fase di grande sviluppo (anche se va riconosciuto che il primo risveglio era avvenuto con la giunta di Franco Richetti e dell’assessore Sergio Pacor, che avevano realizzato tra il ’90 e il ’91, due grandi mostre, "Neoclassico" e "Il mito sottile" sull'arte del Novecento). Anni in cui, anche su modelli nazionali, si puntava soprattutto sui grandi eventi per il rilancio di Trieste, ma vedremo dopo in che modo e con quali differenze rispetto a oggi.
La fase delle grandi mostre alle scuderie di Miramare è iniziata nel 1995 ed è durata fino al 2001. Molti ricorderanno i titoli di quelle mostre, Ebla, I Daci, Tesori di Praga, Sissi… che hanno avuto molto successo (raggiunsero anche 80.000 visitatori) e indotto la giunta a decidere di ristrutturare l’ex Pescheria centrale per farne una sede di grandi mostre nel centro cittadino. Perché si era verificato che le mostre a Miramare non producevano un vero beneficio per la città; spesso i pullmann di visitatori ripartivano senza nemmeno arrivare in centro a Trieste. Era un progetto intelligente passato alla giunta successiva capeggiata da Roberto Dipiazza, e purtroppo fallito, come vediamo ora.
Anche al Museo Revoltella ci furono negli stessi anni, dal 1995 in poi, una serie di mostre importanti di arte contemporanea internazionale, dedicate a James Rosenquist, Jim Dine, Basquiat, David Byrne.

James Rosenquist nel 1995 al Museo Revoltella. A destra l'inaugurazione della mostra

Va detto che fu un periodo in cui non è mancata attenzione per i musei, anzi è stata una fase di sviluppo in cui si sono aggiunti nuovi spazi, (Palazzo Gopcevich), nuovi musei, il Museo Orientale e i Musei letterari, e c’è stata anche una notevole produzione scientifica, con molte pubblicazioni uscite di anno in anno. Insomma, era una politica culturale di valorizzazione del patrimonio e attenta alla ricerca scientifica sulla cultura triestina, con degli apici che erano gli eventi di richiamo nazionale e internazionale.
Qualcuno potrebbe osservare, oggi, in risposta alle critiche che vengono mosse alle mostre pronte e itineranti, come quella recente degli Impressionisti al Revoltella, che anche le leggendarie mostre degli anni Novanta  non nascevano all’interno dei nostri musei, ma arrivavano più o meno pronte.
Per alcune è vero, ma ci sono comunque delle grandi differenze: innanzitutto la qualità (Ebla era stato un clamoroso successo a Roma) che arrivavano a Trieste al massimo in seconda battuta (parlo delle mostre archeologiche), altre erano progetti originali realizzati solo qui, come quelle del Revoltella progettate dagli artisti stessi studiando gli spazi del museo (come fecero di persona Rosenquist e Dine). Tutte mostre che hanno portato prestigio a Trieste e al museo, con grande risalto sulla stampa nazionale. Oggi invece le mostre girano un sacco prima di arrivare qui e sfruttano il prestigio del museo per essere vendute meglio al prossimo acquirente. 
Inoltre la differenza rispetto ai giorni nostri la faceva anche la presenza di un direttore, che è un interlocutore indispensabile quando si importano mostre. Perché anche nelle situazioni migliori si tratta pur sempre di un’ ”invasione”, che va controllata in ogni dettaglio, frenando e imponendosi, se serve, perché la tendenza di tutti, anche i più garbati, è quella di fare un po’quello che si vuole. Ma un conservatore non può fare da baluardo all'espansione delle mostre rispetto alle esigenze del museo. Non ha potere. E come può farlo un direttore che dirige a distanza?

5. La furia distruttiva

Con la prima giunta di Roberto Dipiazza e con i suoi primi tre assessori, Roberto Menia, Paris Lippi e Massimo Greco, l’attività è continuata con un certo ritmo, e anche a buon livello (ricordo le mostre e i cataloghi realizzati per il Cinquantenario del ritorno all’Italia, nel 2004, con il coinvolgimento di tutti i musei e dell’Università, ma non solo), ma si è capito ben presto che la cultura non era tra le priorità del nuovo Sindaco e, ancor meno, i musei. Ricorderete, ad esempio, che a un certo punto si voleva chiudere il Museo Orientale e usare quel palazzo per gli uffici comunali. Ma anche Palazzo Gopcevich, che era stato acquistato per i musei, è stato subito riempito per oltre metà da uffici amministrativi. Tuttavia, finché le quattro direzioni sono esistite, benchè in parte precarie, anche in quel primo mandato di Dipiazza hanno potuto svolgere il loro ruolo e organizzare con sufficiente autonomia l’attività dei musei.
Non è stato molto saggio, per la verità, non indire un concorso per la direzione della Biblioteca civica quando nel 2001 la dirigente Annarosa Rugliano è andata in pensione. Subito dopo ci sono stati cambiamenti epocali: da Palazzo Biserini è stato trasferito in altra sede il Museo di storia naturale e la Biblioteca, destinata a rimanere, è stata sottoposta a un'opera di ristrutturazione e ampliamento (ancora non finita!). Ma, come succede adesso per il Museo del Mare, l'ultimo pensiero, anche allora, era affidare la struttura a una direzione stabile. 

Palazzo Biserini sede della Biblioteca Civica

Il colpo di grazia è arrivato quando è andato in pensione il direttore dei Musei scientifici, Sergio Dolce, nel 2010; pochi mesi prima delle elezioni è stato fatto un vero e proprio blitz con l’eliminazione della direzione degli Scientifici (allora avevano oltre 60 dipendenti), e l’accorpamento tra Area cultura, Musei di Storia ed Arte e la Biblioteca civica in una stessa direzione.
Già allora si giustificava questa scelta con l'esigenza di razionalizzare, di ridurre le spese. Senza valutare che l'assenza di dirigenti preposti (e il risparmio irrisorio di quattro stipendi rispetto alle decine di milioni di euro impegnate ogni anno per il mantenimento dei musei) avrebbe sicuramente fatto declinare le istituzioni o, come minimo, non le avrebbe fatte crescere.
Questa rivoluzione, da cui rimaneva indenne solo il Museo Revoltella perché il posto era ancora occupato da me, non solo ha messo in secondo piano i musei e allargato enormemente il potere della direzione di area, ma ha diffuso la convinzione (soprattutto tra chi aveva messo gli occhi su un bel pacchetto di quattro ruoli dirigenziali da riciclare, magari in altre aree) che i quattro servizi culturali potevano tranquillamente fondersi ed essere diretti tutti insieme più o meno da chiunque. Una direzione unica, confusa e inclusa nell’Area Cultura, avrebbe consentito di controllare meglio le risorse, non buttare via soldi nelle attività invisibili (come sono la maggior parte delle attività che si svolgono nei musei) e incanalare fondi ritenuti improduttivi verso gli eventi. 
Perché purtroppo la produttività sempre più è stata collegata solo al numero dei biglietti venduti e, per ottenere sempre migliori performances, si è rinunciato al controllo della qualità, sia nei servizi erogati, sia nella scelta delle iniziative da proporre. E' per questo che si è arrivati a realizzare una mostra come quella dedicata a Frida Kahlo. E questo si collega anche all’ossessione del "direttore manager", che non si capisce bene con che tipo di figura si indentifica, a volte semplicemente un contabile, a volte un esperto di marketing. In ogni caso uno che non venga dal mondo della cultura, e meno che mai un “cattedratico”, come l'attuale assessore definisce gli esperti, da evitare come la peste. Perché in fondo i musei, secondo questi amministratori, servono soprattutto al turismo, non alla cultura…
Nel 2011 sono stata l’unica (anche perchè era evidente che anche il Revoltella sarebbe finito in questo calderone) che ha protestato per questa decisione, scrivendo lettere, relazioni, discutendo, facendo persino un ricorso al TAR, ma non c’è stato niente da fare.

6. Un piano che ha attraversato tutte le amministrazioni

Il passaggio a una giunta di centro sinistra, nel 2011, ha interrotto (solo per un po’) la realizzazione di questo disegno, che, come si sarà capito, non era solo frutto della fantasia dei politici, ma era radicato soprattutto nei vertici amministrativi (il vero potere, diciamolo, sempre al suo posto, con o senza meriti. Ma dotato di una buona dose di cinismo, trasformismo e pazienza).
Le direzioni della Biblioteca e dei Musei scientifici sono state ripristinate, ma con incarichi a tempo; invece, quelle dei Civici Musei di Storia ed Arte e del Museo Revoltella sono state unite e affidate a me. Una fase che poteva essere utile per rimettere a posto tutto il sistema (tanto più che io stessa ero alle soglie della pensione) e che comunque ha permesso di realizzare in extremis alcuni vecchissimi progetti arenati da tempo, il Museo Henriquez e il Museo della civiltà istriana, fiumana e dalmata. Ma che aveva bisogno di più tempo per una vera riforma. 
Col ritorno in Comune di Dipiazza, tutto è tornato indietro, come cinque anni prima. Anzi, no. Peggio. E' stato bandito un concorso per una direzione unica (a tempo determinato, appunto, giusto una parentesi prima di liquidare tutto) con il compito di gestire 20 musei e la Biblioteca Civica. Un'assurdità.
Quando nel 2012 avevo ricevuto dal Sindaco Cosolini il compito di  gestire due servizi su quattro, con "solo" una dozzina di sedi museali, tra cui, oltre al Revoltella, gli edifici-simbolo della città, (Castello di San Giusto, Risiera di San Sabba, tanto per dire, assieme a tutti gli altri, Sartorio, Teatrale, archeologico, Orientale, Storia Patria, Morpurgo, Henriquez, ecc.) mi ero resa conto dall'interno dell'impossibilità di operare in una situazione del genere. Si può metterci un impegno straordinario, dilatare il proprio orario di lavoro fino a non avere mai un giorno libero, ma è davvero una missione impossibile
Ci sarà una ragione per cui sono state necessarie quattro direzioni per più di un secolo! Figurarsi nel mondo attuale, in cui le funzioni dei musei si sono moltiplicate! Non si riesce ad affrontare e risolvere nemmeno la metà dei problemi che si presentano ogni giorno. E diventano imprese epiche anche le attività più semplici. Praticamente si finisce in un inferno, in cui si inseguono solo le emergenze e le urgenze e non ci si occupa molto di patrimonio e di progetti. 
Dovrebbe essere abbastanza facile capirlo. Se si crede nei musei, ovviamente.
Dirigere vuol dire seguire da vicino, quotidianamente, un museo (o comunque un piccolo numero di musei), risolvere i problemi, migliorare i servizi, sviluppare delle idee, osservare il pubblico, monitorare i risultati. Si può pensare che una persona che ha anche altre incombenze possa farlo bene addirittura per 20 musei? No, non è possibile. Neanche se competente in materia, figurarsi se ha solo competenze amministrative. Il risultato è l’ingovernabilità. Con una direzione solo di facciata, praticamente nulla di più di una firma messa sulle carte.

Opere nel deposito del Museo Revoltella - Arrivo di opere per una mostra


7. Direttori e conservatori 

Probabilmente c'è troppo poca informazione e resistono troppi equivoci sulla funzione di un direttore di museo. Pare che sia un mestiere che si impara in pochi giorni o che si può fare solo attraverso le carte, delegando le funzioni più specialistiche ai sottoposti. Non è così. 
Direttore e conservatore sono due ruoli molto simili e per certi aspetti intercambiabili. Infatti dovrebbero avere alle spalle lo stesso percorso di formazione e le stesse competenze. E costituire anche due tappe di un unico percorso. Logica vorrebbe che potesse diventare direttore un esperto che abbia svolto già mansioni di conservatore in quel museo. Come è successo a Sergio Dolce, ex direttore dei Musei Scientifici di Trieste, per fare un esempio.
Ma l'uno non può svolgere la sua funzione senza l'altro. Sono complementari.
Per semplificare, il conservatore è una figura per definizione legata al passato, il direttore rappresenta il futuro.
Infatti il conservatore conserva, appunto, mantiene, tutela, controlla, studia le collezioni, decide e segue i restauri, magari fa anche didattica. Ma è concentrato su una parte del lavoro, peraltro indispensabile, come quella della custodia del patrimonio.
Perché il direttore invece rappresenta il futuro? Perché oltre al compito di supervisore del lavoro del conservatore, ne ha un altro non meno importante, quello di pensare al museo di domani, farlo crescere, progredire, adeguare ai tempi, curare i servizi offerti e inventarne di nuovi, di stabilire relazioni culturali con le altre istituzioni e in generale col mondo esterno (dall'Università alle gallerie d'arte, dalle Soprintendenze ai teatri, dalla scuola alle associazioni, dagli artisti alla stampa), promuovere ricerche, progettare eventi e attività interdisciplinari. Insomma il direttore deve garantire che il museo si conservi, resti sé stesso, ma nello stesso tempo sia proiettato nel futuro. Ma può fare tutto questo un direttore amministrativo?
Non è un caso che la storia di un museo si divida in direzioni, perché ciascuna, almeno quelle di una certa durata, si identifica con un modello di gestione, e non solo per la personalità e la cultura di chi ricopre l’incarico, ma anche per il contesto politico e sociale. 
Ed è anche il motivo per cui questo ruolo non può essere ricoperto dall’auspicato manager, questa figura mitica che fa sognare gli assessori alla cultura. Perché a questo si dovrebbero chiedere, non solo mostre qualsiasi che vanno bene ovunque per fare entrare la gente a frotte (troppo facile!) ma progetti culturali originali collegati alla storia e alla cultura locale e alle collezioni dei musei. 
Sappiamo che da questa Amministrazione, che risponde alle interrogazioni consiliari con maldestri ragionamenti pseudo-aziendali e che sfugge il dibattito pubblico su questo argomento perchè non è in grado di sostenere il confronto, non c'è nulla da sperare
Non resta che mantenere una costante e vigile attenzione sui musei civici, confidando che prima o poi i loro nemici lascino la scena e che si torni a parlare veramente di cultura.



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